Il bragòzzo (noto anche come baragòzzo o bracózzo), è un’imbarcazione da pesca e/o da carico tipica di Chioggia e del medio e alto Adriatico che esercitava il cabotaggio (navigazione lungo costa) sin nello Ionio. La sua costruzione come barca da mare risale alla seconda metà del ‘700 ed ebbe consistente sviluppo dopo il Decreto Regio Austriaco del 6 maggio 1838, caldeggiato dagli istriani, che era stato emesso per interdire la pesca con reti a fondo o a strascico perché distruttrici del patrimonio ittico e della continuità delle specie marine. La barca, lunga dai 9 ai 16 m e larga un quarto della sua lunghezza, è caratterizzata da due alberi e vele al terzo colorate e si caratterizzava per la robustezza, che gli consentiva la navigazione in mare aperto, ma è caratterizzata anche da un fondo piatto che gli garantiva la navigazione sui bassi fondali lagunari, aspetti che determinarono il suo successo a discapito della tartana.
Il sito chioggia museo galleggiante riporta dettagliate informazioni circa questa imbarcazione storica, di cui se ne riporta un estratto.
La costruzione: Il bragozzo, costruito nello squero mediante i sesti (sagome prefissate, che servivano a ricavare le corbe, cioè le ordinate dello scafo), verso la fine dell’ottocento era lungo 12,5 m, largo 3,15 e alto 1,05 m, aveva boccaporto centrale a proravia, uno a poppavia e un portello a prua. Il timone raggiungeva la lunghezza di quasi 4 m. La fase di costruzione iniziava con le aste di prora e di poppa in legno di rovere molto robusto, cui poi erano fissati i magieri (i corsi del fasciame). L’ossatura dello scafo era costituita dalle còrbe. Tra i magieri di prua e di poppa erano posti i mancoli d’ormeggio. Il fasciame veniva piegato con il fuoco, ottenuto bruciando un particolare tipo di canna palustre: il legno era riscaldato e, tenendolo sempre umido con fango, si cercava di dargli la curvatura voluta. Terminata la coperta, si procedeva alla rifinitura e poi alla calafatura, effettuata per mezzo di stoppa catramata, inserita negli interstizi mediante appositi scalpelli e battendo con un grosso martello, detto magio. Quindi lo scafo era ricoperto all’interno e all’esterno di pece (la pégola). Poi si fissava l’albero di maestra, cui provvedeva l’alborante ed erano issate le vele, confezionate dal velèro oppure tagliate e cucite dagli stessi uomini, mentre alle reti da pesca provvedevano le donne della famiglia. Particolare attenzione era riservata alla costruzione del timone, la parte più robusta dell’imbarcazione poiché svolgeva anche, in parte, le funzioni della chiglia. Per costruirlo si usava una nutrita schiera di attrezzi: morsetta, pialla, verìgola, mazzuola e martello. A prua del bragozzo non mancava il fogòn, ossia il braciere costituito di solito da una semplice cassa rettangolare foderata di lamiera di zinco, che serviva per la cottura del cibo. Lo scafo di un bragozzo risultava molto robusto e resistente alle continue sollecitazioni, consentendo l’utilizzo di questa imbarcazione anche nelle situazioni più difficili. Nel 1889 il costo di un bragozzo completo da 36 piedi veneti (circa 12,5 m), per cassa pronta, era in totale di £4.530,5.
Le vele: La vela è sempre stata il simbolo, l’emblema caratteristico e più appariscente del bragozzo chioggiotto, tanto è vero che il vigariolo (un pescatore divenuto avvistatore marittimo) riconosceva a distanza i vari paroni dei bragozzi dal colore e soprattutto dalle raffigurazioni dipinte sulle vele. Normalmente le vele dei bragozzi chioggiotti alla seconda metà dell’800 erano due per quelli di misura maggiore e una per quelli di misura minore. Le vele di poppa e di prua (de tronchéto) erano al terzo, qualche volta compariva anche il fiocco. Erano gli stessi pescatori o le loro donne che confezionavano la vela, cucendo insieme 34-35 sfèrzi (cioè teli), non senza aver prima praticato col coltello il taglio di sotto, per darle la giusta obliquità. Poi gli uomini si interessavano di armarle. Esse venivano armate nel tradizionale sistema di origini remote, che si può far risalire all’epoca delle galere, e definito come “armatura alla pescatora”: così era possibile far assumere alla vela anche una certa forma a sacco, che consentiva di sfruttare meglio il vento con andature di bolina. Quando il vento era forte si utilizzavano i metafioni, cioè dei cavetti penduli fissati alla vela, posti su file orizzontali. Quindi si procedeva alla dipintura delle vele usando i colori più facili da reperire a quei tempi: l’ocra, il rosso mattone, il nero e a volte l’azzurro, il verde e il marrone. La colorazione delle vele veniva fatta con la teréta, colore in polvere, che veniva sciolta in acqua di mare; esse venivano poi poste al sole ad asciugare; quindi, gettate nell’acqua di mare per togliere la polvere lasciata dalla pittura ed infine esposte ancora al sole perché asciugassero definitivamente ed essere così pronte per l’uso.
Le decorazioni: Un tempo lo scafo dei bragozzi veniva abbellito con varie decorazioni. A prua erano dipinte ad olio figure alate nell’atto di suonare la tromba, dette ànzoli (angeli), o soggetti sacri, insieme, ai lati, alle pesséteche, se contornate o incorniciate, dette bòli. Scopo di questi dipinti era, ovviamente, quello di ottenere la protezione dei Santi o della Madonna. Altri dipinti piuttosto comuni erano: colombe bianche col ramo d’ulivo, dischi solari, piccoli occhi (questi ultimi di chiaro significato apotropaico). Si tratta di tradizioni di origine cristiana o egiziana. Spesso i pescatori chioggiotti personalizzavano le loro imbarcazioni con disegni geometrici molto semplici sulle fiancate e sulle impavesate o con a prua stemmi o bandiere relativi al luogo di provenienza. Gli angeli (anzoli) erano dipinti di solito da qualche pescatore provetto nel disegno, che era appunto chiamato el pitoréto dei anzoli. Sui bragozzi chioggiotti si vedevano sovente riprodotte immagini dei Santi Patroni, della Madonna della Navicella, della Passione di Gesù, di San Giorgio, ecc.
Altre pitturazioni si potevano osservare all’interno dello scafo, a prua e a poppa. A prua appariva un vero e proprio dipinto a olio, mentre sui parapetti dei boccaporti si ammiravano soggetti vari, a seconda della fantasia dei pescatori. A poppa la tradizione voleva che fosse dipinto, all’interno della murata, il nome del proprietario e la località di provenienza con nel mezzo un crocefisso, mentre all’esterno, sui fianchi, si riproduceva il nome della barca contornato da fantasiose cornici. Alcuni hanno visto in queste decorazioni del bragozzo una religiosità frammista ad elementi sacri e di superstizione, quando non si arrivava persino all’inserimento di antichissimi elementi paganeggianti. Tali erano nel concetto e nell’uso il pentàcolo (stella a 5 punte con raggi convergenti al centro oppure un cerchio che inscrive una stella), il vellus in uso nelle imbarcazioni più vecchie, i trabaccoli e le tartane, l’òculus (figurante nelle imbarcazioni egizie e fenice oltreché sulle navi romane con funzione magica) e il penèlo (un mostravento, espressione della più genuina arte tradizionale, che veniva costruito dagli stessi pescatori che, con le punte dei coltelli ben affilati o con punteruoli, intagliavano il legno, lavorandolo nelle ore di riposo). Questi erano gli ornamenti decorativi più comuni che apparivano un tempo nelle imbarcazioni chioggiotte.
Il varo è il momento della festa: la speranza di un avvenire migliore, la barca addobbata a festa presenziava al banchetto che il proprietario offriva alle maestranze e non mancava il momento religioso in cui un sacerdote benediva la nuova imbarcazione con l’acqua santa.
Nel film-documentario Gente di Chioggia di Giovanni Comisso (https://youtu.be/X7DMxanxfeY), con la regia di Basilio Franchina, si trovano belle immagini di questa tipica imbarcazione.
Interessante il documento dell’Istituto Luce in cui una voce narrante descrive la benedizione del mare da parte del vescovo di Chioggia, all’interno di uno dei due bragozzi che ospitano le persone che partecipano al rituale. Viene gettata in mare una corona di alloro e sull’attenti c’è il gonfalone cittadino. Il documento filmato è accompagnato da una musica locale di sottofondo (sito beniculturali.it).