I casoni da pesca ancora esistenti fra Piave e Tagliamento sono più di un centinaio (in parte ancora usati per la pesca di valle e di fiume) e mantengono, in molti casi, i caratteri originali che ne fanno un caso unico nel panorama antropologico italiano. I casoni sono il chiaro esempio del legame tra la pesca in laguna e gli elementi naturali presenti nell’ambiente circostante, realizzati con una tecnica costruttiva fondata su un’idea di stabilità basata sull’impiego di materiali presenti nella natura circostante. Questi manufatti sono sopravvissuti per secoli, mantenendosi e sopravvivendo anche ai cambiamenti enormi imposti al territorio a seguito degli interventi di bonifica che li ha visti protagonisti nella prima metà del ‘900. In una mappa di Angelo dal Cortivo che risale al 1527, rappresentante la bassa pianura e il tratto di costa tra Livenza e Tagliamento, le abitazioni sono sparse e la presenza di casoni con il tetto di paglia è particolarmente rilevante, evidenziandone in numero molto elevato lungo la bassa Livenza e in laguna di Caorle. Anche nella mappa di Antonio Locha del 1549 se ne ritrova una chiara traccia.
Il legame di questi manufatti con la pesca è consistente, come dimostra la denominazione “casoni de pescadori” con la quale venivano indicati nella cartografia del ‘500, a dimostrazione del carattere “anfibio” di queste zone di bassa pianura, al confine tra terra e mare aperto. Oltre che nelle valli venete, anche in laguna di Marano e di Grado, che è un intrico di canali e valli, fra le “mote” ricoperte di canne e di cespugli, i pescatori lagunari hanno costruito queste tradizionali abitazioni con il tetto fatto di canne, che rimangono l’emblema della Laguna e restano la base d’appoggio per molti gradesi che vivono tuttora di pesca.
Il sito scelto per collocare i casoni erano le foci dei fiumi, perché durante l’inverno la laguna ghiacciava, mentre le acque dei fiumi non ghiacciavano a causa della temperatura maggiore, quindi chi abitava nel casone aveva sempre una via di fuga per rientrare a casa. I casoni venivano edificati sugli isolotti della laguna (una barena rinforzata, fatta con il permesso dell’amministrazione comunale), su rialzi del terreno di modesta entità (le cosiddette mote). Per spostarsi tra gli isolotti, a causa del basso fondale che caratterizza la laguna, l’imbarcazione tipica è la batèla, una caratteristica imbarcazione a fondo piatto, senza chiglia, condotta da un rematore in piedi, che può anche essere dotata di motore.
I casoni erano caratterizzati dallo sviluppo in senso verticale, grazie alla particolare configurazione del tetto a falde fortemente inclinate, costituito da canne palustri o paglia o erba, che conferisce a queste strutture una rilevante importanza visiva negli orizzonti piatti della pianura. I casoni si presentano come strutture leggere, costruite con materiale del luogo: scheletro di pali presi dai boschi e copertura e pareti di canna palustre.
La costruzione aveva una sola porta orientata a ponente perché così l’ultimo pasto della giornata era illuminato dal sole al tramonto. Posizionati con l’asse maggiore orientato approssimativamente in direzione est-ovest, in maniera da offrire la minore sezione resistente ai venti dominanti, evitando di comprometterne la stabilità, mentre la porta è orientata verso ovest per ripararla dai venti che soffiano da est, inoltre avevano forma arrotondata a ogive per offrire minor resistenza ai venti di bora o di tramontana. Spesso erano assenti le canne fumarie anche se i casoni erano dotati di un fogher (focolare) posto in posizione centrale, utilizzato per cucinare e per riscaldare l’ambiente quando era freddo. Particolari accorgimenti venivano adottati per evitare che le faville del fuoco potessero incendiare il tetto, mentre il fumo, una volta arrivato al tetto, contribuiva nel tempo alla sua impermeabilizzazione. Nella laguna di Caorle i casoni normalmente avevano una base quasi ellittica ed erano costituiti da un solo ambiente o al massimo due. Poche le finestre e sempre di piccole dimensioni, così da ridurre la dispersione del calore nei periodi freddi e l’ingresso del caldo nel periodo estivo. Così come ci sono differenze costruttive tra i casoni di campagna e quelli da pesca (che solitamente avevano una struttura meno complessa di quelli rurali), si evidenziano differenze tra i casoni di una laguna e quelli di un’altra laguna, a dimostrazione dell’intima simbiosi esistente tra questi manufatti e gli ambienti naturali in cui venivano costruiti. I casoni della laguna di Caorle si caratterizzano per avere prevalentemente una base ellittica, in alcuni casi con tetti spioventi fino a terra e in altri casi con tetto raccordante con le pareti perimetrali verticali.
I casoni presenti nella zona di Marano Lagunare presentano invece una base quadrata, con tetti a piramide (quattro falde), ma aggettanti (sporgenti) sulle pareti perimetrali. I casoni della zona di Grado sono simili a quelli della laguna di Caorle, ma sono privi di finestre e le due testate curve risultano più appiattite avendo un maggior raggio di curvatura. Peraltro, il casone maranese si è conservato in maniera più fedele alla tradizione rispetto a quanto avvenuto in altri posti, avendo mantenuto forma e materiali più tradizionali e quindi non essendo stato caratterizzato dai drastici cambiamenti che hanno portato, in alcuni contesti, a trasformare i muri perimetrali, originariamente in legno, in mattone crudo prima, mattone cotto e pietre successivamente.
Ma anche il casone maranese ha subito delle evoluzioni nel tempo, con un aumento della sua altezza, l’introduzione di finestre e camini, la sostituzione dei materiali originari con altri, più facilmente reperibili. Da considerare il forte impegno richiesto per la conservazione di queste strutture, poste in ambienti assai complessi dal punto di vista degli agenti naturali, per cui si rende necessario intervenire sulla mota e sui massi frangiflutti (che vanno reintegrati a seguito di particolari quanto frequenti eventi meteorici), sulle tettoie e sullo strato esterno di canna che deve essere sostituito ogni 4-5 anni circa (ma in alcuni casi è necessario farlo anche dopo 1 anno).
In tempi più recenti, una volta persa la funzione di residenze abitative, nella laguna e nelle valli di Caorle queste strutture venivano utilizzate dai pescatori, che vi si trasferivano per viverci e le utilizzavano come base operativa durante il periodo di pesca, alternandoli a periodi di rientro in famiglia durante il fine settimana o per approvvigionarsi delle scorte alimentari. Il periodo di pesca iniziava in aprile con l’apertura (verta) della pesca per il pesce novello, e terminava a metà dicembre. Nel periodo cosiddetto della fraima (da settembre a dicembre) spesso anche le mogli e i bambini si recavano in laguna per la raccolta delle canne palustri da vendere. I casoni fungevano dunque per i pescatori da punto di ristoro, di rifugio dove potersi riparare in caso di tempo avverso, di locale dove riporre gli attrezzi da lavoro in caso di necessità, ma anche semplicemente un posto dove riposare nei momenti di pausa.
A seguito del declino dell’importanza della pesca in laguna, i casoni hanno perso la loro identità.
Spesso sono stati oggetto di drastiche trasformazioni rispetto alle caratteristiche costruttive originarie, che si caratterizzavano per peculiarità dei materiali utilizzati e per particolari forme e proporzioni. In certi casi la struttura originaria è servita soltanto per camuffare strutture nuove e completamente diverse da quelle originarie, divenendo chiaro esempio di una deriva culturale che ha portato a perdere i valori identitari di una collettività, legata strettamente alla laguna e ai frutti che essa poteva dare. Le vicende storiche che si sono succedute nel tempo hanno portato ad una graduale perdita delle caratteristiche identificative dei casoni, abitati un tempo da persone povere e spesso in condizioni anche di scarsa disponibilità alimentare, perdendo il loro legame con l’acqua, a seguito degli interventi di bonifica per poi essere abbandonati dalle persone che sono passate a vivere in contesti abitativi più consoni ai tempi. Soltanto in tempi più recenti è sorto l’interesse al recupero delle tradizioni capaci di esprimere l’identità di questi luoghi, anche attraverso iniziative specifiche, come ad esempio quelle sponsorizzate dalla Regione Veneto. Varie iniziative sono state intraprese infatti dalla pubblica amministrazione per recuperare i casoni, favorendone la riqualificazione attraverso interventi specifici volti anche a considerare il casone di Caorle come un bene di interesse pubblico, patrimonio culturale veneto da salvaguardare.
I profondi cambiamenti del contesto socio-economico hanno interessato anche le altre aree lagunari in cui queste strutture erano presenti e diffuse, come nella laguna di Marano. Il casone maranese è stato riscoperto alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, venendo valorizzato per funzioni completamente diverse da quelle originarie. Con l’avvento della motorizzazione delle imbarcazioni, il loro utilizzo per lavoro è stato abbandonato. Infatti, adesso vengono utilizzati per uso ricreativo della famiglia o per uso turistico, potendo comunque assolvere il ruolo di volano economico nell’ambito del turismo/ittiturismo e quindi per l’economia del territorio. Pier Paolo Pasolini si era innamorato di un casone della Laguna di Grado (detto di Mota Safon), così tanto da girarci alcune scene della Medea (nel 1969). I casoni e l’ambiente della laguna di Caorle sono stati fonte di ispirazione di alcune pagine del libro di Hemingway “Di là dal fiume e tra gli alberi”.