Patrimonio Culturale della Pesca

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Pesca in laguna

Lavoriero

Nella Maremma Toscana mancava una tradizione pescatoria locale e quindi di pescatori di mare, questo spinse la popolazione e le amministrazioni locali (vedi Castiglione della Pescaia) a rivolgersi esclusivamente verso la palude (padule) con esiti altalenanti, soprattutto legati alla gestione delle zone umide.
A Castiglione della Pescaia, per esempio, si praticava pesca di palude mediante bilance e retoni o con bertovelli, per la pesca sia di pesci di mare (muggini e branzini) che di acqua dolce (anguille). Un altro tipo di pesca era quella con il lavoriere (lavoriero), consistente in un sistema di chiuse con cannicciati per concentrare, in zone prestabilite, il pesce che si sposta verso il mare. La pesca con il lavoriere venne introdotta attraverso l’ingaggio di esperti pescatori delle valli di Comacchio e del lago di Fogliano, in cui questo dispositivo per la cattura degli animali era ampiamente utilizzato.

Il lavoriero è un impianto fisso, originariamente in materiale naturale, ora prevalentemente in cemento armato e grate in ferro, che permette la raccolta del pesce degli ambienti lagunari quando questo dalle lagune, per istinto riproduttivo, tenta di guadagnare il mare. Il lavoriero si presentava come un artificio di canne, così intricato che Torquato Tasso (Gerusalemme Liberata, VII, 46) lo paragona al labirintico castello di Armida; un vero e proprio strumento di ingegneria. La tradizione comacchiese ama attribuirne la felice invenzione, che risalirebbe al XIII o al XIV secolo, a un concittadino della famiglia Guidi, che ne ostenta la paternità nella propria arma. È molto più probabile che un membro della famiglia Guidi abbia adottato accorgimenti finalizzati a rendere più efficiente la trappola, dal momento che a questo tipo di dispositivo di pesca si fa cenno in molti documenti storici e, addirittura, nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio che, narrando della grande quantità di anguille che venivano pescate nel fiume Mincio o nel lago di Garda, racconta che la cattura avveniva con «cancelli artificiali di canne». E il lavoriero non è che un insieme di «cancelli artificiali di canne» articolati nello sbarramento costruito nello spazio allargato ove il canale marino, proveniente dal mare, si raccorda alle covole, i canaletti che si protendono nella laguna con la funzione di smaltire prontamente l’acqua di flusso. Nel lavoriero tradizionale particolari incannicciate (grisole) infisse nel fondo lagunare e sostenute da un’intelaiatura di pali e pertiche (cioè pareti con doppio o triplo stato di grisole in canna che formano una successione di recinti angolari con l’apertura verso la covola e la punta verso il mare), delimitano un perimetro cuneiforme nel quale una serie di bacini triangolari, come punte di freccia, comunicanti fra loro, consentono la cattura differenziata del pesce. È in questa costruzione che il pesce, entrato per un’apertura lasciata ad arte, rimane intrappolato.

Il lavoriero è il manufatto fondamentale dell’attività di pesca negli ambienti lagunari. Tale manufatto è riconosciuto come una “trappola fissa”. Nel corso del tempo, dal lavoriero primitivo di canna si è passati a quello moderno in cemento e metallo, più facile e rapido da costruire. In autunno, quando si instaurano le condizioni favorevoli alla pesca, l’acqua del mare viene fatta entrare in valle o in laguna per mezzo dell’apertura delle chiaviche poste sui canali di comunicazione. L’istinto riproduttivo stimola gli individui sessualmente maturi delle valli e delle lagune a risalire, lungo canaletti interni detti covole, le correnti di acque marine affluenti, più calde e ossigenate di quelle vallive e lagunari, per raggiungere il mare.

Nella sua migrazione il pesce si imbatte nei lavorieri allestiti nelle stazioni di pesca e, attraverso le aperture A e B del botteghino (1 della figura sovrastante), passa nel colaùro vero (2). Il pesce bianco (cefali, orate, spigole) e le anguille s’introducono nella baldresca (4), attraverso la bocca di cento (3). Le anguille, grazie alle caratteristiche delle loro scaglie, incuneandosi per la coda riescono ad attraversare il fitto cannicciato (grisole) della baldresca (4), giungendo nella cogolara (5) e, successivamente, attraverso le aperture C arriva nelle otele (6). Qui il cannicciato del lavoriero, spesso fino a trenta centimetri, ne impedisce la fuga. La funzione del lavoriero, quindi, non è solo quella di intrappolare i grossi contingenti di pesci in migrazione, ma serve anche a separare il pesce bianco, che si ferma nella baldresca (4), dalle anguille raccolte nelle otele (6).

I lavorieri, uno sbarramento un tempo in legno e oggi meccanizzato, in Laguna di Orbetello sono posizionati in corrispondenza dei tre canali larghi 25 m ciascuno (canale di Ansedonia per la laguna di Levante, canali di Nassa e Fibbia per la laguna di Ponente) che permettono lo scambio di acqua tra la laguna e il mare aperto. La pesca al lavoriero approfitta dell’alta marea: l’ingresso dell’acqua dal mare in laguna attira i branchi di pesce verso lo sbarramento e li incanala in una serie di camere “degli inganni” che li conducono alla “cassa di cattura”, dove il pesce ancora vivo e in acqua viene selezionato per taglia e, a seconda dei casi, issato con le reti oppure rilasciato. In alcune stagioni, oltre all’alta marea, è l’istinto riproduttivo a spingere il pesce verso l’uscita dalla laguna. Gli esemplari più maturi sessualmente sono lasciati passare affinché raggiungano il mare della costa per riprodursi: di qui, i giovani esemplari, grazie alla bassa marea, potranno rientrare in laguna. Con il lavoriero si pescano tutte le specie ittiche della laguna di Orbetello così come con il tramaglio, rete da posta fissa costituita da tre strati di maglie, usato prevalentemente in estate e nei mesi di novembre, dicembre e gennaio.

Numerosi sono i riferimenti ai lavorieri in documenti storici (vedere figure in basso) e questi sistemi di cattura sono ampiamente presenti nelle lagune venete, per esempio nelle Valli di Comacchio, in cui un inventario redatto all’indomani della prima guerra Mondiale ne elencava 44 in una superficie totale di circa 40.000 Ha di valle, diversamente orientati nelle diverse stazioni di pesca le quali, minori o maggiori secondo l’estensione del bacino cui presiedevano, ne contavano uno o più eguali o disuguali per dimensione o per la rilevanza data a questa o a quella sezione (la baldresca, il colauro, l’otela, la cogollara…) in cui il manufatto si articola. I lavorieri si trovano in numerosi altri ambienti lagunari presenti in Italia ma anche altrove, come risulta da vari documenti come quelli dell’Istituto Luce relativi al Lago di Scutari.

Dimensione locale, regionale, interregionale, nazionale, sovranazionale o internazionale: Sovranazionale
Quali fattori ne stanno causando la scomparsa:
Meccanizzazione e progresso tecnologico, Crisi economica

Bibliografia:

Nardo G. (1871). La pesca del pesce ne’ Valli della veneta laguna al tempo delle prime buffere invernali detto volgarmente (Fraima), monologo didascalico in versi nel dialetto dei pescatori Chioggiotti. Editore Marco Visentini. Pp. 103
Samaritani G. (1899). Provvedimenti necessari nella laguna di Comacchio, Venezia. Stab. Tip. Visentini Federico.