Era il 1729, quando l’abate Giuseppe Olivi annota tra le pagine della sua Zoologia Adriatica: «I granchi per acquistare il loro accrescimento cambiano ogn’anno crosta. Nei momenti che precedono la muta i nostri pescatori li raccolgono e radunabili in carnieri tessuti di vinchi, volgarmente viero, li collocano a mezz’acqua nei canali. La nuova situazione non impedisce loro di svestirsi: essi perdono la vecchia crosta, e compariscono coperti dalla nuova, ancor molle e membranosa: in tale stato chiamati Mollecche, salgono anche alle mense più nobili». Ma ne parlava già nel Cinquecento il commediografo Andrea Calmo: «Mi vegno da Treporti, dove se descortega i granzi» (provengo da Treporti, località del bacino Nord della laguna di Venezia, dove i granchi perdono il loro involucro).
L’industria delle moleche era una delle più importanti fra le industrie popolari di Venezia; ed era realizzata nella zona della Palada alla Giudecca e a San Pietro di Castello. L’area della Giudecca interessata all’industria delle moleche era quella della Palada, che gravitava attorno all’omonimo Rio de la Palada. Il termine palada, nel lessico veneziano, deriva proprio da “palo” con riferimento alle palificate che venivano impiegate nelle aree interne della laguna, come sistema di contenimento della terra e barriera contro il dilavamento.
La moleca o mosca è lo stadio del granchio (Carcinus aestuarii Nardo 1847), “granzo”, durante la muta quando, riassorbita la chitina dell’esoscheletro, diventa molle.
Una volta che i granchi sono stati pescati mediante trappole cilindriche (“nasse”) posizionate nei fondali lagunari con batimetria inferiore a m 1,5 s.l.m. (palùi) (più raramente la pesca avviene con reti a strascico, come ad esempio le granzere; Pellizzato & Giorgiutti, 1997), vengono trasferiti in sacchi di juta per essere trasportati agli impianti di lavorazione dove si effettua la delicata operazione della cernita che rappresenta il punto critico del processo produttivo. L’abilità nell’eseguire la cernita, appresa dopo decenni di esperienza in buona parte mediata dall’osservazione diretta di quanto viene fatto dal “molecante” più esperto, è la caratteristica più spiccata della specifica tradizione. Deve perciò essere effettuata da personale esperto.
Per la cernita, i sacchi vengono svuotati su dei tavoli particolari, rettangolari o a forma di trapezio, con sponde sui 3 lati maggiori e forniti di una paratoia sul lato minore (“gorne”). Su questi tavoli vengono selezionate le diverse tipologie di granchio in funzione dello stadio biologico. Si individuano così i granchi “spiàntani” (che a giorni muteranno e diventeranno “moeche”), quelli “boni” (che a giorni diventeranno “spiàntani” e entro 3 settimane muteranno diventando moeche), quelli “matti” (che non muteranno) e le “mazanette” (femmine con uova, anch’esse di interesse commerciale).
In particolare, la muta si può dividere in due fasi: nella prima i granchi mostrano alla base delle zampe una linea lucida e biancastra; quando sono spiantani (quando è imminente la metamorfosi), le linee si estendono per tutte le articolazioni, ed il colorito generale si fa verdastro. L’operazione della muta è dolorosa, ma non dura che pochi minuti. Allo stato libero il granchio per la muta sceglie i punti più nascosti della laguna, perché in quel breve periodo, è assolutamente indifeso e debolissimo, e cadrebbe facilmente preda di altri animali. La muta spoglia infatti il crostaceo dall’esoscheletro, lasciandolo del tutto indifeso per un periodo variabile (diverse ore – qualche giorno) in attesa che il nuovo mantello si indurisca, allargato ed adatto al suo corpo. Se in natura tale fenomeno avviene normalmente in rifugi nascosti (sassi, alghe, ecc.) l’uomo ha imparato a controllarlo, fin dalla Serenissima. Giunto il momento decisivo, cioè durante la muta, il granchio capelùo si raggomitola su se stesso, tenendo le zampe incurvate verso la parte centrale del corpo. Quindi il carapace si solleva, si alza sempre più, si formano due squarci, uno per lato, che si allargano, si estendono, fino a raggiungere l’apparato boccale; successivamente si liberano anche le chele e la moleca, molle, esce fuori dal suo scheletro. Se non venisse raccolta a questo stadio, dopo due o tre ore la moleca si doterebbe di un nuovo carapace. Se la moleca invece è tolta dall’acqua, quella sua condizione di tenerezza, si prolunga per qualche giorno.
Gli adulti mutano una volta all’anno o anche meno mentre gli animali giovani di appena 5 mm, che sono abbondanti in laguna in marzo ed aprile, da primavera a settembre (quindi in meno di un anno) diventano adulti, mutando almeno quattro volte, specialmente durante il periodo estivo, durante il quale i granzi adulti hanno una sosta. In autunno i granchi migrano in mare, per deporvi le uova; e quivi passano l’inverno, per ritornare in laguna in primavera.
I granchi che devono ancora fare la muta vengono posti all’interno di particolari contenitori (vieri, un tempo realizzati in vimini, ed attualmente costituiti in legno o in materiale plastico di forma rettangolare o esagonale ma rappresentate anche da gabbie con telaio in acciaio, rivestite da rete di maglia 15 mm) che vengono sommersi all’interno di appositi vivai costituiti da pali infissi nel fondale e collegati con altri disposti orizzontalmente. Strutture di questo tipo sono presenti in alcuni canali lagunari nei pressi di Chioggia, Pellestrina, Giudecca e Torcello. I vieri, al cui interno i granchi possono continuare a nutrirsi liberamente, vengono mantenuti in poche e limitate zone lagunari facilmente accessibili, in particolare dove l’acqua è più calda.
L’attività dei “moecanti” si concentra in 2 periodi dell’anno: fine gennaio-maggio (quando mutano sia i maschi che le femmine) e fine settembre-novembre (quando mutano solo i maschi in quanto le femmine portano le uova). Quella del molecante è quindi una vita dura, sopratutto in Quaresima e in Fraima (termine con il quale i Veneziani indicano il periodo di autunno in cui avviene la smontata, cioè la discesa del pesce dalla laguna al mare; Treccani), cioè nei due periodi di muta del granchio verde. Questo processo avviene 2 volte l’anno per i maschi mentre 1 volta l’anno per le femmine. Nel ciclo di vita del granchio verde di laguna, le masanete sono le femmine del granchio e vanno degustate all’apice della formazione del corallo, le moeche invece sono il crostaceo molle (ecco perché il nome “moeca”), che, appena subita la muta, abbandonano il carapace rigido.
L’industria delle moleche comprende dunque due categorie di lavoratori: i pescatori di granchi e quella dei pescatori e sorveglianti di vieri, che sono naturalmente in numero assai minore. Il pescatore attraverso una serie di reti convogliano i granchi nel loro naturale spostamento verso un “cogollo” una rete a sacco in cui rimangono intrappolati. Quotidianamente il pescatore visita i vieri per recuperare i granchi che hanno avviato il processo di muta e che quindi di lì a poco si libereranno del carapace rimanendo molli (moeche deriva proprio dal termine mollo). Durante le operazioni di controllo e di pulizia dei vieri, effettuate due volte al giorno, vengono prelevate le moleche in muta ed eliminati gli eventuali esemplari morti ed i vecchi carapaci. Questo processo, che nell’arco della vita si verifica spontaneamente più volte, nel periodo tra febbraio e maggio e tra ottobre e novembre raggiunge il suo apice.
Il lavoro del molecante richiede una grande preparazione, molto tatto, assidue cure, dal momento che il molecante deve individuare gli animali nel breve periodo in cui si trovano senza carapace. Per gustare le moeche, cibo pregiatissimo e raro ai tempi della Repubblica Veneziana, i pescatori lagunari hanno avviato una vera e propria attività di “allevamento” del granchio verde, inventandosi quindi il lavoro del “molecante” riconosciuto ufficialmente dai dogi della Repubblica della Serenissima.
Quello del molecante, pescatore professionista, è un mestiere che ha un elevato interesse storico- tradizionale ed offre una buona opportunità di reddito, dato il prezzo finale delle moleche. I veneziani sono riusciti a trasformare una specie poco commestibile, utilizzata tutt’al più come esca, in un alimento ricercato e ben pagato, offerto nei ristoranti di più alto livello. Il mantenimento di questa attività tradizionale, che ancora oggi viene esercitata secondo una tecnica praticamente immutata da diversi secoli e che si colloca a metà strada tra lo sfruttamento delle risorse selvatiche e l’allevamento, coinvolge adesso un numero molto limitato di operatori. Fino ai primi anni ’80 del secolo scorso se ne contavano 300 – 400, mentre oggi il loro numero è ridotto a un centinaio, tra la Giudecca, Burano, Torcello, Chioggia e la Pellestrina. Inoltre, questa attività oggi è per lo più stagionale e integrativa per quella del pescatore professionista di laguna. Il forte degrado degli habitat lagunari e le dinamiche in atto negli ambienti costieri alto-adriatici stanno mettendo in serio pericolo l’attività dei moecanti. L’uscita dal mondo del lavoro dei molecanti più anziani, altamente specializzati, ed il limitato ricambio generazionale fanno ritenere concretamente a rischio questa produzione agro-alimentare tipica del territorio e da considerare di eccellenza.
Di questa attività tradizionale si parla anche nel recente film Welcome Venice (2021), del regista Andrea Segre, i cui protagonisti (Pietro e Alvise) sono i due eredi di una famiglia di pescatori di moeche della Giudecca. L’attività di pesca delle moeche vorrebbe essere portata avanti da Pietro, nonostante la fatica e la solitudine che la caratterizza.