Patrimonio Culturale della Pesca

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Tradizionali attrezzi da pesca

Serragiante

La pratica della pesca con seragia in laguna di Venezia è un’attività molto antica, tant’è vero che la Repubblica Serenissima, già nel 1261, consapevole dell’importanza della pesca lagunare, ne affidò il controllo alla Giustizia Vecchia. Anche l’uso di attrezzature fisse, ree secondo le istituzioni dell’epoca di “atterationi con sommo pregiudicio de Canali della Navigazione” era severamente regolamentato e controllato dalla Magistratura alle Acque. Pescare con la seragia è un’occupazione tramandata di generazione in generazione, così come il soprannome (“detto”) del pescatore e dei suoi discendenti. Tale “detto” è vivo ancora ai nostri giorni a Burano (famosa la stirpe dei Strigheta, dei Ciaci, dei Padrini, dei Panna o dei Burieli), a Pellestrina (dei Datti, dei Fongher, ecc.) e a Chioggia, dove questi soprannomi sono riportati persino negli atti ufficiali, all’anagrafe e negli elenchi telefonici. Un tempo a bordo di ogni barca c’erano più persone, fino anche a 15 pescatori (“compagnie”), quasi sempre legati da vincoli di parentela.

La serragia viene definita dal Vocabolario della Pesca (Cerioni et al., 2013) come “Rete da posta (rete da pesca che viene calata verticalmente e destinata a recingere o sbarrare spazi acquei allo scopo di ammagliare gli organismi marini che vi incappano) circuitante: rete da posta calata a cerchio o ad arco di cerchio. Altri termini: Vollaro, Tratturo, Serraglia, Serragia, Vollaro ad incannata, Mugginara, Saltarello”. Come evidenziato da Giovanardi (2011) in “Mestieri e tradizioni pescherecce in laguna di Venezia” “Le tecniche di pesca artigianale multispecifica sopravvissute fino a oggi includono principalmente l’impiego di attrezzi fissi (reti e trappole). I più diffusi sono le reti da posta, che possono essere utilizzate da sole o in gruppi e possono essere con o senza cogòlli (trappole, note anche come bertovelli, costituite da diverse camere a forma di cono uno dentro l’altro che si stringono sempre di più fino all’ultima camera, dove il pesce rimane prigioniero).
Le più comuni sono le tresse con cogòlli, che hanno completamente sostituito l’uso della seragia. La serragia era una rete composta di vari pezzi che veniva posizionata con l’alta marea in modo da cingere completamente una vasta zona di laguna che, in corrispondenza delle basse maree più pronunciate, emergeva. Il pesce, al calare della marea, cercava di fuggire, ma si trovava la via sbarrata venendo catturato nei cogòlli”. L’impiego della serragia è documento anche da Ferretti et al. (2002), in cui si legge “Nel corso dell’indagine in alcune zone del Nord Adriatico, prevalentemente in acque lagunari o zone marine a bassissima profondità, sono stati raccolti dati su attrezzi particolari ascrivibili alle reti a postazione fissa, del tipo cogollo, chiamati localmente “serragie o trezze”. Trattasi di un insieme di reti di sbarramento – incanalamento e di un certo numero di camere della morte distanziate in modo opportuno.

Stando al Regolamento regionale per la pesca e l’acquacoltura ai sensi dell’articolo 7, comma 1, della legge regionale 28 aprile 1998, n. 19 “Norme per la tutela delle risorse idrobiologiche e della fauna ittica e per la disciplina dell’esercizio della pesca nelle acque interne e marittime interne della Regione Veneto” e s.m.i., la serragia non si annovera tra le attrezzature per la pesca professionale consentite per le Aree A e B, mentre la serragia con bertovelli può essere utilizzata nella zona C della laguna di Caorle. Questa tecnica di pesca risulta ancora praticata da un centinaio di pescatori professionali che la praticano in Laguna di Venezia.
La pesca a seragia è stata per lo più sostituita con la pesca con tresse munite di bertovelli. È anche questo un sistema passivo di pesca che richiede l’utilizzo di una rete alta 130-140 cm, avente maglia con larghezza minima di 16 mm, tesa tra pali di sostegno in numero di 60-80 (o multipli), distanti tra di loro 100-120 cm e infissi nei bassi fondali lagunari. L’insieme di reti, paletti e cogolli è detto “tira”, posta in modo da sfruttare in modo ottimale i movimenti della marea della zona. I cogolli, a 2 o 3 esche, sono posizionati dai pescatori in modo che il pesce vi entri sia con marea entrante che uscente. La tressa, utilizzata ampiamente in laguna di Venezia, rimane in posizione anche per mesi.

Dimensione locale, regionale, interregionale, nazionale, sovranazionale o internazionale:
Sì, regionale, Sì, interregionale (Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna) come si evince da un documento datato 1899 “sull’uso e godimento delle acque comunali e sulla pesca Marano lagunare” che attesta il passato impiego di tale attrezzatura per la pesca lagunare oltre i confini del FLAG Veneziano (Regolamento sull’uso e godimento delle acque comunali e sulla pesca Marano Lagunare, 1989).
Quali fattori ne stanno causando la scomparsa:
Ricambio generazionale, Cambiamenti a livello sociale

Bibliografia:

Cerioni, S., Ferretti, M., Gentiloni, P. (2013). Dizionario dei termini della pesca. Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. 98 pp.
Giovanardi O. (2011) Mestieri e tradizioni pescherecce in laguna di Venezia in Lo stato della pesca e dell’acquacoltura nei mari italiani Cap. 4 L’attività di pesca, pp. 290-291. Ministero delle Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/5164)

Ferretti, M., Tarulli, E., Palladino, S. (2002). Classificazione e descrizione degli attrezzi da pesca in uso nelle marinerie italiane con particolare riferimento al loro impatto ambientale. Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare
Regolamento sull’uso e godimento delle acque comunali e sulla pesca Marano Lagunare (1989). http://www.comune.maranolagunare.ud.it/index.php?id=14327